Nel 1984 da un'idea del giornalista Saverio Tutino nacque l'Archivio Diaristico Nazionale, che raccoglie migliaia di diari, memorie, epistolari e testimonianze inviati da ogni parte d'Italia. L'Archivio non si propone solo di conservare brani di scrittura popolare ma intende far fruttare in vario modo la ricchezza che in esso viene depositata. La sede dell’Archivio conserva oggi più di 6500 pezzi, un numero destinato a crescere grazie al Premio Pieve, che ogni anno fa arrivare centinaia di manoscritti. La grande risonanza della Fondazione ha fatto sì che Pieve fosse ribattezzata "Città del Diario".
All’interno del cinquecentesco Palazzo Pretorio di Pieve Santo Stefano, luogo simbolo della memoria di un paese distrutto nell’agosto di guerra del 1944, sorge il Piccolo museo del diario, un percorso museale che racconta l'Archivio diaristico in modo originale, creando un ponte fra il passato del luogo che lo ospita e l’innovazione delle moderne tecnologie che sono il cuore del museo.
 
Un itinerario destinato ad arricchirsi di nuove installazioni dedicate a quanti negli ultimi trent’anni hanno legato il loro nome e le loro storie di vita a quella dell’Archivio. Oggi il museo si compone di quattro sale: all'interno delle prime due è collocata un'installazione artistica multiutente che permette ai visitatori di aprire ante e cassetti e di ascoltare, vedere e sfiorare alcune tra le storie più affascinanti scelte tra gli oltre settemila diari, memorie ed epistolari conservati in Archivio. È un luogo dove soffermarsi per l’ascolto di brani di diario, vedere i manoscritti animarsi su schermi digitali e poter ammirare alcuni documenti autografi. A completare l'impatto emozionale visivo e uditivo, il bisbiglìo di sottofondo dal quale si stagliano le parole dei protagonisti: è quel "fruscìo degli altri" che Saverio Tutino, al quale il museo è dedicato, udiva levarsi dagli scaffali che con il passare degli anni andavano sempre più riempiendosi di diari.
 
La seconda sala è la “stanza di Rabito”, un capolavoro autobiografico scritto da un cantoniere ragusano semi analfabeta che stupisce per densità di narrazione e di scrittura, scolpito in fogli a quadretti da una Olivetti Lettera 22 che Rabito ha usato per raccontare la sua storia e quella del secolo Novecento. Chiude il percorso la “stanza del lenzuolo”, emblema dell’autobiografia e dell’attività di raccolta dell’Archivio: è il “diario” scritto da una contadina di Poggio Rusco direttamente su un lenzuolo del proprio corredo, largo più di due metri, dedicato al marito Anteo. "Una notte non avevo più carta..."racconta Clelia ai visitatori, creando un'opera unica che sorprende e commuove.